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Il filo di un dramma mai chiarito del tutto inanella le immagini di questa saga familiare, che sull'arco di tre generazioni attraversa più di cinquant'anni di storia. Ma la storia rimane sullo sfondo. Tra la Grecia e l'Italia, in un mosaico di paesaggi, luoghi, luci, lingue, abitudini e in un'alternanza inesausta, per intensità, tempi e registri, si ricompongono i frammenti di una vita, le scaglie di un esistere prevalentemente femminile, pieno di attese e di corporeità sottratta o bruciata o sprecata, che coincide con gli affetti solo per brevi e dissonanti intersezioni. Gli uomini sono assenti, rimpianti o respinti. E il dolore passa di nonna in madre, di madre in figlia. Una domanda rimane sempre inespressa e funge da collante tra i vari momenti e personaggi del romanzo: gli anni Trenta con la jajà che racconta le storie ai nipoti rimasti orfani; gli anni Quaranta con le prime gravidanze della piccola Linì; il presente, con una Stecco in bilico tra un futuro metropolitano e le radici greche e contadine. Lacerata tra il bisogno di restare e la spinta verso un altrove incerto, Stecco assiste impotente alle sofferenze della sorella chiusa nella follia. Poi una forza vitale la spinge ad attraversare quel mare di amarezza che la tiene in scacco. "La signora ermellino" è un libro sulla immobilità del dolore, ma è anche un romanzo che osa raccontare la forza delle immagini che nell'ombra governano i movimenti dell'esistenza.